Informativa del Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso sulla situazione dell’acciaieria ex Ilva
Signor Presidente, innanzitutto ringrazio i colleghi presenti.
Con l’informativa odierna il Governo intende doverosamente informare il Parlamento circa i recenti sviluppi relativi a un asset strategico di rilievo nazionale e internazionale, perché siamo in un momento decisivo che richiama tutti al massimo senso di responsabilità.
Questa sera la delegazione di Governo farà altrettanto nell’incontro con le rappresentanze sindacali, con cui ci siamo spesso confrontati in questo anno, sin dall’inizio della legislatura; rappresentanze sindacali che ben conoscono lo stato della situazione e l’urgenza di un intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi dieci anni. Gli impianti siderurgici dell’ex Ilva di Taranto, con i suoi stabilimenti anche in Liguria, hanno segnato in oltre sessant’anni la storia, potremmo dire davvero l’epopea della siderurgia italiana, con il lavoro e il sacrificio di intere generazioni e, purtroppo, anche con le conseguenze che ben conoscono gli abitanti del quartiere Tamburi, a cui va il nostro pensiero e il nostro impegno affinché si possa davvero completare il processo di riconversione ambientale dello stabilimento.
L’ex Ilva, primo impianto di acciaio primario in Europa, ha consentito al nostro Paese di realizzare un sistema industriale che ha portato sviluppo e benessere e ci consegna al secondo posto dopo la Germania, nell’Unione europea. L’Italia delle autostrade e delle auto, l’Italia della nautica e della cantieristica, l’Italia degli elettrodomestici, della meccanica, delle ferrovie, delle infrastrutture e delle costruzioni esiste in quanto può contare sulla sua importante e significativa filiera siderurgica. Noi ci crediamo e ci impegniamo a ricostruirla competitiva sulla tecnologia green su cui già sono impegnate le acciaierie italiane, prime in Europa.
Tutti voi sapete che l’impianto è in una situazione di grave crisi. Per quanto riguarda il 2023, lo scorso anno, la produzione si attesterà – non abbiamo ancora i dati complessivi – a meno di 3 milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo che nel 2023 avrebbe dovuto essere di 4 milioni, per poi quest’anno risalire a 5 milioni. Nulla di quello che era stato programmato e concordato è stato realizzato. Nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito ai livelli occupazionali e al rilancio industriale. In questi anni la produzione si è progressivamente ridotta, in spregio agli accordi sottoscritti. Persino negli anni in cui la produzione di acciaio era altamente profittevole in Europa, come nel 2019, la produzione è stata mantenuta bassa lasciando campo libero ad altri attori stranieri che hanno aumentato invece la loro quota di mercato in Italia.
Noi intendiamo invertire la rotta cambiando equipaggio e delineando un piano siderurgico nazionale che sia costruito su quattro poli complementari, attraverso un progressivo percorso di rinnovamento, modernizzazione e specializzazione degli impianti esistenti. Mi riferisco in primis appunto a Taranto, che dovrà riaffermare il ruolo di campione industriale con una filiera produttiva con l’intero ciclo dal minerale al prodotto finito. Mi riferisco a Terni, dove lavoriamo sul solco di quanto fatto dal mio predecessore Giorgetti, per il rafforzamento della produzione di acciaio speciale con un contratto di programma che dovrebbe essere definito entro febbraio. Mi riferisco a Piombino, con l’enorme potenzialità, in particolare sulle rotaie, che fin qui ha sottoperformato e che ora registra l’interesse, oltre che del soggetto presente, di potenziali nuovi investitori stranieri con i quali ci apprestiamo a sottoscrivere un memorandum d’intesa per il riavvio della produzione di acciaio. Da ultimo, ma primo per importanza di produzione, il supporto alle acciaierie, soprattutto nel Nord, che stanno portando avanti con successo una svolta green senza precedenti, modello di efficienza sostenibile in Europa, e dobbiamo dare atto ai nostri imprenditori dei grandi sforzi fatti.
Si tratta, quindi, di un piano articolato, che ovviamente dovrà tener conto anche del contesto europeo e delle misure competitive messe in campo dagli altri attori globali (Stati Uniti e Cina, ma anche India, Brasile e la vicina Turchia), di cui il nuovo regime Carbon border adjustment mechanism (CBAM), il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, che consentirà di distinguere sempre più fra acciaio verde e acciai inquinante, è un elemento di riequilibrio necessario ma non ancora sufficiente. Il CBAM, infatti, mira a porre oneri economici sui produttori esteri che lavorano in Paesi a minore onerosità di utilizzo dell’anidride carbonica, ma da solo non basta a ridare competitività alle imprese europee, che infatti hanno ridotto i loro programmi di investimento e alcuni, come appunto Mittal (il più grande attore globale), ci hanno detto con chiarezza che a queste condizioni investiranno negli Stati Uniti e non certo in Europa. Dobbiamo quindi intervenire anche in quella sede, a Bruxelles, e lo faremo, per garantire migliori condizioni di produzione e quindi di investimento in Europa, anche per salvaguardare l’autonomia strategica del nostro continente e quindi la sua competitività globale.
Avevo il dovere di chiarire il contesto, perché dobbiamo definire finalmente una politica industriale duratura nel tempo, al di là delle legislature, ma anche di chiarire perché siamo arrivati a questo punto e cosa abbiamo fatto in questo anno di Governo per riprendere in mano la situazione di quello che è un bene di tutti gli italiani e certamente dei lavoratori metalmeccanici e delle loro famiglie che vi hanno dedicato la loro vita e che non vogliamo assolutamente deludere. Il loro lavoro va onorato con il nostro impegno. Noi non siamo condizionabili, come non lo sono loro, perché sappiamo cos’è la fatica del lavoro e perché ricordiamo che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro.
Ricordo quindi a voi tutti e a me stesso come si è giunti a questo, non per recriminare, ma per rimediare, non per accusare, ma per superare, spero insieme. Nel gennaio 2016 era in carica il Governo del collega senatore Renzi; gli allora commissari dell’amministrazione straordinaria ritennero di bandire una gara per la vendita dell’asset, centrata su alcuni elementi di rilievo ambientale, industriale e ovviamente anche economico. Nel giugno dell’anno successivo, il 2017, era nel frattempo sopraggiunto il Governo Gentiloni, ministro dello sviluppo economico era il senatore Calenda. La multinazionale indiana ArcelorMittal, primo attore globale, vinse la gara pubblica per assumere in affitto la gestione delle acciaierie, in attesa dell’acquisizione, pur in presenza di un’altra cordata pubblico-privata cui partecipava perfino Cassa depositi e prestiti, la mano dello Stato. Nel luglio 2018 il primo Governo Conte chiese all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) di indagare sulla regolarità della procedura di gara. Nel luglio 2019, nell’anno in cui conveniva produrre gli acciai in Italia e in Europa, un anno grandemente profittevole per le acciaierie, sempre con il primo Governo Conte, ministro dello sviluppo economico era Di Maio, viene tolto lo scudo penale e ArcelorMittal rende nota di conseguenza la propria intenzione di sciogliersi dall’accordo. Ricordo che in quella circostanza numerose voci si levarono dall’opposizione di allora anche in quest’Aula del Senato e personalmente fui una di quelle. Mi alzai in quest’Aula per affermare, a nome del partito cui appartengo, che la rimozione dello scudo penale in un contesto come quello di Taranto avrebbe giustificato il disimpegno della multinazionale indiana, che peraltro, secondo i più, aveva fatto quell’investimento non per rilanciare l’impianto, ma per evitare che potesse rappresentare una concorrenza di mercato dall’Italia in Europa.
Quella decisione sulla rimozione dello scudo penale pose ArcelorMittal in una posizione di forza nei confronti del Governo di allora. Di fronte alla minaccia di abbandonare il sito e in assenza di alternative, nel marzo 2020 il Governo Conte 2 – Ministro era allora il collega senatore Patuanelli – avvia una nuova trattativa con gli investitori franco-indiani, da cui nascerà Acciaierie d’Italia, con l’ingresso di Invitalia al 38 per cento e con la sigla di patti parasociali fortemente sbilanciati a favore del soggetto privato, patti che definire leonini è un eufemismo. Nessuno che abbia cura dell’interesse nazionale avrebbe mai acconsentito a quel tipo di accordo, nessuno che abbia conoscenze delle dinamiche industriali avrebbe accettato mai quelle condizioni. La governance era di fatto rimasta nelle mani del socio privato, che nel frattempo però deconsolidava l’asset, a dimostrazione del proprio disimpegno, richiamando anche i propri tecnici e non immettendo più alcuna risorsa nell’azienda. In particolare, all’amministratore delegato designato da Mittal è stato riconosciuto il voto decisivo su ben sette materie di straordinaria importanza per la vita dell’acciaieria, al Presidente designato da Invitalia, invece, il voto decisivo su una sola materia. Anche nell’ipotesi prevista in quella intesa inizialmente per il maggio 2022 e poi spostata a maggio 2024, cioè al maggio di quest’anno, di una salita in maggioranza del socio pubblico al verificarsi di alcune condizioni, Invitalia comunque non avrebbe potuto designare un amministratore di proprio fiducia. Ripeto: anche se fosse diventata maggioranza, Invitalia non avrebbe comunque potuto esprimere un amministratore di propria fiducia come ha recentemente dichiarato proprio il socio privato, rivendicando ancora l’altro ieri, in una dichiarazione ufficiale alla stampa, condizioni di privilegio garantite da quei patti. Non solo, ma Invitalia, neanche ove fosse salita in maggioranza al 60 per cento, avrebbe potuto cedere le proprie quote a terzi. Unica possibilità concessa era quella di cedere non più del 9 per cento, quindi scendendo dal 60 al 51, ad un socio finanziario, non industriale, non operativo sull’acciaio e comunque con diritto di prelazione in capo a Mittal. In questa situazione, compromessa da un accordo sottoscritto in condizioni di minorità, ci siamo mossi sin dall’inizio nel cercare di recuperare allo Stato margini di azione e nel contempo per tentare di invertire la rotta del declino produttivo e ogni intervento in questo anno, sin dal decreto sull’ex Ilva realizzato alla fine del 2022, è stato in questa direzione. Con il decreto Ilva del dicembre 2022 abbiamo introdotto la non punibilità in caso di asset dichiarati di interesse strategico nazionale per azioni che discendono dal rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento, dirette a tutelare i beni giuridici protetti. Abbiamo sostenuto il rafforzamento patrimoniale di Acciaierie d’Italia con 680 milioni di euro convertibili in azioni in ogni momento, anche prima, quindi, di quanto precedentemente determinato per il maggio 2024, in ogni momento Invitalia lo richieda e questo prima non era possibile. Abbiamo messo a disposizione di Invitalia un ulteriore miliardo di euro per sostenere eventuali esigenze finanziarie aggiuntive della società che si rendessero necessarie per raggiungere gli obiettivi produttivi per il 2023 indicati concordemente in 4 milioni di tonnellate di acciaio, come deriva dal concordato nel term sheet, che nel frattempo è stato definito concomitante al decreto-legge.
Abbiamo inoltre previsto la possibilità che il socio pubblico possa intervenire, ove vi siano le condizioni di insolvenza, attraverso le procedure di amministrazione straordinaria, ove queste non le attivasse doverosamente il rappresentante legale. Una sorta di catenaccio, quella norma, per tutelare comunque il bene pubblico.
Con la finalizzazione degli accordi di gennaio 2023 tra i soci, abbiamo ridefinito parzialmente i precedenti accordi, realizzando migliori condizioni di governance e prevedendo il possibile ingresso di un altro attore industriale, anche in partnership (cosa precedentemente espressamente esclusa).
Abbiamo inoltre fatto in modo che, entro la fine di febbraio dell’anno appena trascorso (2023), fossero rese disponibili le quote dei certificati ETS gratuite spettanti alla società, con significativi benefici finanziari stimabili nell’ordine di 250 milioni di euro. Abbiamo sbloccato l’istruttoria dei contratti di sviluppo, creando le condizioni per gli ulteriori investimenti di decarbonizzazione, oltre a quelli relativi agli investimenti industriali (revamping di altoforno 5, il più grande altoforno d’Europa, interventi su altoforno 4, altri interventi) e alla realizzazione del forno elettrico.
Abbiamo da ultimo introdotto con il decreto asset – i colleghi senatori lo ricorderanno – la possibilità di cessione degli impianti pur in vigenza di sequestro, consentendone la continuità operativa anche nel caso in cui l’ultimo grado di giudizio dovesse confermare la confisca degli impianti. Questa norma è strategica per chiunque gestirà l’impianto e investirà in esso. La possibilità di acquisire gli impianti e la conseguente patrimonializzazione possono portare infatti ad una pronta bancabilità e quindi alla liquidità per l’azienda indispensabile per assicurare le manutenzioni e gli investimenti, nonché per il riavvio delle produzioni.
Come si vede, lo sforzo che le istituzioni (il Governo e il Parlamento) hanno condotto in questi mesi è stato orientato a creare le condizioni per un maggiore impegno degli azionisti, delineando anche a più riprese quali sono le priorità per l’ex Ilva dal punto di vista della produzione e dell’occupazione. Abbiamo a più riprese chiarito al socio privato come sia necessario un impegno congiunto sui fabbisogni immediati, sulla ricapitalizzazione, sull’acquisto degli asset e sugli investimenti produttivi e ambientali. Occorrono interventi straordinari di revamping di alcuni altiforni, il rifacimento degli impianti che servono per trasformare in energie i gas di altoforno, l’installazione di un forno elettrico con l’utilizzo del preridotto (DRI) a minor impatto ambientale, l’adeguamento e la manutenzione straordinaria degli impianti di trasformazione, laminatoi, tubificio e centri di lavorazione dislocati a Taranto, Genova, Novi Ligure, Racconigi e altri centri minori, il completamento della messa in sicurezza e della bonifica, laddove necessaria, delle aree, anche in funzione di possibili alternativi utilizzi a vantaggio della comunità locale.
Come è noto, il Governo ha incontrato a più riprese i sindacati, facendo il punto sulle principali criticità che interessano gli impianti di produzione, ed è stata definita una road map del confronto in corso con l’azienda. Il socio privato, dinanzi alla richiesta di impegno finanziario pro quota, ha detto con estrema chiarezza, nell’incontro di lunedì scorso a Palazzo Chigi, che non ha intenzione di immettere alcuna risorsa, persino per l’ipotesi in cui la sua quota, all’aumento del capitale sociale da parte della sola Invitalia, dovesse scendere al 34 per cento.
Arcelor Mittal si è dichiarata disponibile ad accettare di scendere in minoranza, ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota, scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato, ma nel contempo reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti, realizzati quando diedero vita alla società Acciaierie d’Italia, di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione, cosa che non è accettabile, né percorribile sia nella sostanza che alla luce dei vincoli europei sugli aiuti di Stato. Abbiamo quindi dato mandato ad Invitalia e al suo team di legali di esplorare ogni possibile conseguente soluzione. Sono queste ore decisive per garantire nell’immediato, in assenza di impegno del socio privato, la continuità della produzione e la salvaguardia dell’occupazione, nel periodo necessario a trovare altri investitori privati di natura industriale.
Questa è la situazione che abbiamo davanti a noi, pregiudicata dalle decisioni assunte negli anni precedenti e nella scorsa legislatura. È una situazione a cui tutti insieme dobbiamo ora rimediare con la massima assunzione di responsabilità. Siamo consapevoli dell’importanza delle decisioni che dobbiamo assumere e quindi riteniamo importanti le indicazioni che le forze politiche vorranno esprimere anche in questa sede, anche nella seduta odierna.
Spero di essere stato chiaro e mi attendo altrettanta chiarezza da parte vostra, nell’assoluto rispetto per quello che è il luogo sovrano della rappresentanza popolare, il nostro Parlamento